Gli impianti a biogas sono sistemi industriali progettati per trasformare materiale organico in energia sfruttando processi biologici naturali. Si basano su un principio semplice e consolidato: la fermentazione anaerobica (in assenza di ossigeno) di sostanze di origine vegetale o animale per produrre una miscela gassosa ricca di metano, utilizzabile per generare calore o elettricità.
Per comprendere appieno questa tecnologia è utile chiarire alcune definizioni chiave.
- La biomassa è il materiale organico, derivato da coltivazioni, scarti zootecnici o residui agroindustriali, che rappresenta la materia prima del processo.
- Il biogas è il risultato della fermentazione, una miscela prevalentemente composta da metano e anidride carbonica, con una percentuale variabile di altri gas minori.
Questi due elementi — biomassa e biogas — sono i cardini su cui si fonda l’intero impianto.
Scegliere un impianto a biogas significa quindi valorizzare risorse organiche già disponibili, riducendo la dipendenza da combustibili fossili e abbattendo le emissioni nette di anidride carbonica. In questa prospettiva, la progettazione di un impianto a biogas non è solo una questione tecnica ma anche strategica per la gestione sostenibile delle risorse e la mitigazione dell’impatto ambientale.
Per chi si occupa della progettazione e gestione di questa tipologia di impianti, anche gli strumenti digitali giocano un ruolo fondamentale nel garantire efficienza e precisione. Un software P&ID come ESAPRO, ad esempio, consente di creare schemi di processo intelligenti guidati da specifiche di piping, riducendo gli errori e migliorando la coerenza tra documentazione e modello 3D. Funzionalità come database integrato, generazione automatica degli elenchi materiali e compatibilità BIM ne fanno una soluzione affidabile per progetti complessi, come la progettazione di un impianto a biogas.
Nei prossimi paragrafi vedremo come sono fatti gli impianti a biogas e analizzeremo nel dettaglio il loro funzionamento.
Come sono fatti gli impianti di biogas
Gli impianti di biogas sono progettati per adattarsi a diversi contesti produttivi, dall’agricoltura intensiva fino a specifiche filiere industriali che generano grandi quantità di residui organici, come alimentari, casearie o cartarie.
La maggior parte degli impianti a biogas oggi in funzione ha dimensioni medio-grandi, per garantire volumi sufficienti di produzione e un rendimento economico adeguato. L’impiego a livello domestico rimane raro, soprattutto per l’assenza di normative chiare e per la complessità di gestione su scala ridotta.
Dal punto di vista tecnico, un impianto a biogas è composto da tre sistemi principali.
- Digestore anaerobico. Il cuore dell’impianto è costituito da uno o più digestori, grandi vasche chiuse dove la biomassa subisce il processo di fermentazione anaerobica. La configurazione tecnologica dei digestori varia a seconda della tipologia di materiale trattato. Le due modalità più comuni sono la digestione a umido, in cui la percentuale di sostanza secca nel digestore si mantiene intorno al 10%, e la digestione a secco, indicata per substrati più densi, con contenuto di sostanza secca a partire dal 30%.
- Sistema di cogenerazione. A valle del digestore troviamo il sistema di cogenerazione, che sfrutta il biogas prodotto per generare energia. Un motore a combustione interna trasforma il gas in energia meccanica, poi convertita in elettricità tramite un alternatore. Parallelamente, il calore residuo dei fumi e dell’acqua di raffreddamento del motore viene recuperato attraverso scambiatori termici e può essere riutilizzato sotto forma di acqua calda, vapore o fluido termovettore per usi industriali o civili.
- Sistema di biogas upgrading. Infine, in alcuni impianti è presente un sistema di upgrading del biogas, che lo purifica trasformandolo in biometano. Questa fase di raffinazione è indispensabile quando si intende immettere il gas nella rete di distribuzione o impiegarlo come carburante. Tra le tecnologie disponibili, una delle più diffuse è il sistema a membrane, capace di separare in modo selettivo metano e anidride carbonica grazie alla diversa permeabilità dei due gas.
Questi tre elementi — digestione, cogenerazione e upgrading — definiscono la struttura essenziale di un impianto a biogas moderno e spiegano la sua versatilità applicativa.
Come funziona un impianto a biogas

Il funzionamento di un impianto a biogas si basa su un processo biologico naturale che l’impianto ricrea e controlla in scala industriale. Tutto inizia dalla raccolta delle biomasse, cioè la materia organica destinata alla fermentazione: residui agricoli, reflui zootecnici, scarti agroindustriali o frazione organica dei rifiuti urbani. Questi materiali vengono preparati e stoccati in apposite vasche, per garantire omogeneità e qualità adeguata all’alimentazione dei digestori.
All’interno dei digestori avviene la digestione anaerobica. La biomassa, in un ambiente privo di ossigeno, viene decomposta grazie all’azione combinata di batteri ed enzimi che liberano gas e calore. Questa reazione produce una miscela gassosa composta soprattutto da metano e anidride carbonica, insieme a piccole quantità di altri gas come azoto, idrogeno e composti solforati.
Parallelamente, la parte solida e liquida residua, detta digestato, viene separata dal gas e può essere valorizzata come fertilizzante naturale.
Il biogas così prodotto viene inviato al sistema di cogenerazione per trasformarlo in energia elettrica e calore, oppure, negli impianti dotati di sezione di upgrading, viene purificato per ottenere biometano. Il biometano, equivalente al metano fossile per purezza e prestazioni, può essere immesso in rete, utilizzato come carburante o per riscaldamento.
Questa sequenza — dalla raccolta delle biomasse, al loro trattamento nei digestori, alla valorizzazione del biogas — definisce un ciclo virtuoso capace di generare energia rinnovabile sfruttando materiali altrimenti destinati allo smaltimento, con vantaggi economici e ambientali tangibili.






